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Camera #3

INSTALLAZIONE AMBIENTALE

CECILIA BERTONI E CLAIRE GUERRIER
CON CARL G. BEUKMAN

2014

tecnica e allestimento  Paolo Morelli e Cipriano Menchini
con Alice Mollica, Daniele Ghilardi e Alfredo Dell’Immagine

INSTALLAZIONE IN UN METATO DELLA TENUTA RAGGIUNGIBILE DOPO 15 MINUTI DI PERCORSO E ACCESSIBILE UN VISITATORE ALLA VOLTA


una stanza nella quale muoversi da soli - una scrivania alla quale sedersi - un letto sul quale sdraiarsi - album e libri da sfogliare

L’installazione Camera #3 conclude un percorso, iniziato nel 2011 e con una seconda tappa realizzata nel 2012, in cui due donne si sono interrogate sulle loro identità. Una stanza da letto in cui il visitatore viene invitato ad immergersi in una prigionia allegorica per allontanarsi dal quotidiano e addentrarsi in un universo pieno di rimandi, di evocazioni, di ricordi, di paure e di sogni di due donne racchiuse nella propria solitudine. Da una parte una gabbia fisica, ma soprattutto mentale, costruita con sottili reti di carta da parati che evidenzia un netto confine tra il divenire di tutto ciò che accade all’esterno e un tempo che rimane inevitabilmente sospeso all’interno. Un racconto su una reclusione fisica, che trascina con sé anche ossessioni, doveri affettivi e pensieri, disegnato attraverso la tessitura di frammenti, la dislocazione degli elementi e la diversificazione dei livelli di lettura. Il diario narrativo di un’assenza che dilaga per la stanza in elementi come un letto, dei cuscini con ritratti imprigionati fra reti ricamate e tessuti a reticolato, un tavolo che ospita innumerevoli memorie e tentativi di fuga, delle calligrafie di segni diversi, un’immagine rinchiusa nell’acquario o una sedia con i libri che attendono di essere sfogliati. Dall’altra una presenza solitaria, evanescente e impotente che vorrebbe penetrare quella gabbia sussurrando la propria identità attraverso la frammentazione del proprio corpo in immagini celate dal vetro o protette sotto un tavolo, uno spazio colmo di terra popolato da neonati in miniatura e dei video in cui sembra intrappolata nella parete della stanza o sospesa nell’ambiente. Una presenza che vorrebbe comparire, ma che svanisce appena si avvicina, rimanendo nella periferia, intrappolata fuori dalla rete. Un’esigenza di porsi domande relative al ruolo del proprio sé nel contesto in cui agisce, mostrando il corpo come involucro di ricordi e esperienze che emerge in modo furtivo e delicato senza riuscire mai ad irrompere definitivamente.

Insieme originano un’atmosfera in cui si scontra la serenità della visione con la complessità del pensiero, la calma introdotta dalle finestre con l’agitazione vissuta tra le recinzioni e l’intermittenza dei suoni provenienti dal mondo esterno con i rumori ascoltati all’interno. Un incontro lacerante in cui sono trascurabili le differenze anagrafiche, sociali, economiche o culturali delle due donne e che si snoda in un luogo da cui fuggire o di cui appropriarsi. Un’esternazione delle prigioni fisiche o mentali, passate o presenti che ci appartengono più di ogni altra cosa e di cui nessuno di noi riesce a dimenticarsi. (Angel Moya Garcia)


Camera #3

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Cecilia Bertoni (1961) è nata e cresciuta in Italia. Vissuta altrove. La poesia, la musicalità, l’architettura del corpo e dello spazio in movimento – e non, e le loro dinamiche – sono i soggetti della sua ricerca. Gli spazi sospesi fra la vita e la morte, fra il sogno e la veglia sono gli scenari nei quali questi soggetti raccontano e si raccontano, come fossero frammenti della memoria e degli aneliti: l’assenza di ciò che non c’è più e di ciò che ancora non c’è. Gli strumenti del racconto variano fra danza, recitazione, fotografia, ricamo, disegno, installazione e video. Si sviluppano in spazi neutri, oppure danno vita a un dialogo con gli spazi esterni nella natura e/o site specific. Ideatrice del Progetto Dello Scompiglio nella sua globalità, che espande il concetto di cultura all'ambiente, al paesaggio, all'agricoltura e alla Cucina, è co-fondatrice e direttrice artistica dell'Associazione Culturale Dello Scompiglio che ha sede a Vorno (Lucca). In seguito a una formazione eclettica, alla quale hanno contribuito Philippe Gaulier, Monica Pagneaux e diversi collaboratori di Theatre de Complicite (Londra), ha lavorato all'estero come regista, performer, coreografa, scenografa e drammaturga in numerosi progetti con l'obiettivo principale di armonizzare, miscelare e mettere in contrasto differenti forme d'arte nelle sue composizioni. Prima di rientrare in Italia, è stata co-fondatrice e direttrice artistica della Compagnia Circle-X Arts, Londra, per la quale ha curato le coreografie e la regia di alcuni spettacoli di cui è stata anche interprete. Fra i suoi lavori, come coreografa, regista e scenografa, Vanishing Act, che ha partecipato al Festival Resolution al Teatro The Place di Londra. È insegnante Feldenkrais®.

Claire Guerrier è nata nel 1969 a Strasburgo, in Francia. L’artista vive e lavora a Basilea, in Svizzera. Pur partendo da una formazione teatrale, il suo lavoro da attrice e regista se ne distacca progressivamente, passando dalla composizione del personaggio alla definizione dell'identità di performer/artista. Nel suo lavoro, che utilizza particolarmente il video, unisce il reale e la finzione intorno ad interrogativi essenziali: il corpo, il dolore, la forza, la conoscenza, il vuoto e il pieno o, come in Camera #1, #2 e #3, l'assenza e la presenza…. Le sue opere navigano fra realtà e immaginario, fra narrazione e immagini poetiche in cerca d'identità e di risposte sul senso dell'esistenza.

Carl G. Beukman (1960) è nato a Sintmaartensdijk, in Olanda. Attualmente vive a L’Aia. Dopo molti anni come contrabbassista, il suo interesse si sposta verso la composizione e il disegno del suono, principalmente per il teatro. È sempre alla ricerca della perfetta combinazione fra suono, immagine e testo nell’ambito teatrale, performatico e nel video. Le influenze musicali provengono dalla musica classica contemporanea e dal rock. I punti di partenza sono spesso suoni organici, per esempio quelli registrati dalla natura (gli animali, il vento, lo spezzarsi di un ortaggio, eccetera). Questi suoni vengono poi manipolati dall’artista e combinati con strumenti acustici e sintetici. Cerca così di creare un mondo non esistente. In questa maniera, e in combinazione con altre forme d’arte, trova la sua fuga dalla realtà.


Diverse prigioni. Alla Tenuta dello Scompiglio di Vorno, scorrono le parole su tempo, spazio, prigionia.
" (...) Isolato dalla Tenuta, quindici buoni minuti di camminata, il metato domina la vallata come una vedetta che cerchi ricovero per la propria nave. Con questa calura, però, laggiù non troverà nessuno. Ciò che ha trovato, che non riesce a sperdere, è se stesso. E quel che contiene.

Camera #3. Non è possibile dilungarsi, essendo l’opera la fase conclusiva di un percorso iniziato nel 2011 con Camera #1 e proseguito con Camera #2 nel 2012. Un percorso che non ci è stato possibile seguire e la cui storia, oltre che lunga, risulterebbe scarsa, se raccontata in questo frangente. Frutto della collaborazione tra la storica Cecilia Bertoni (e la definiamo “storica” poiché, essendo ideatrice del Progetto Dello Scompiglio, la sua arte permea gran parte degli eventi della Tenuta) e Claire Guerrier, con Carl G. Beukman, Camera #3 sviluppa (definitivamente?) lo spirito con il quale le due donne percepiscono ed elaborano il concetto di solitudine. La stanza è piccola, claustrofobica, vuota e al contempo satura del passaggio umano. Racconta di uno spazio condiviso, di angoscie spartite in cinque metri per cinque. Un letto, un tavolo, una sedia, libri, fogli sparpagliati, immagini. Tutto attorno un poligono di muri rivestito di reti, come di un minuzioso ricamo. Oltre, la campagna affocata, arida, senza scampo. Due isolamenti, una donna e un fantasma. Cecilia Bertoni, con le sue reti, l’intrappolamento dal quale tenta di fuggire attraverso il viaggio ossessivo (commemorato nel primo libro d’artista che ci capita sotto mano), attraverso i libri di cui si contorna, le parole che trascrive. Uno strazio documentato attraverso gli oggetti, come i resti maceri di un campo di concentramento. Ancora una volta si manifesta la sua personalità aggressiva, confermata e annunciata da una pesante fisicità. Questa fisicità, tanto ontologica quanto strumentale, può semplificarsi senza problemi in un poligono di vetro riempito d’acqua e petrolio, recintato dalle reti che lo imprigionano e riflesso da uno specchio pavimentale.

Diversa è la solitudine di Claire Guerrier, strana presenza che attornia la prigionia concreta della Bertoni, una figura mai distinta, mai affermata. La si percepisce in poche immagini sfuocate, nell’impronta di una mano che altera il vetro, nel vortice perturbante di bambolotti delle dimensioni di una falange che emergono dalla terra e lottano per una sopravvivenza esitante. Timida, incapace di un’esposizione autentica, prigioniera principalmente in se stessa, l’altra nella ripetitività di tempo e spazio. Tra le due, la musica di Beukman, una composizione fatta di frammenti, al pari dell’installazione. L’artista, che cerca in ogni progetto di creare un amalgama tra suono, luogo e azione, permea l’ambiente di suoni umani. La risata, il pianto della Bertoni, le vocali universali della Guerrier, il loro ritmo cardiaco, i respiri, i passi, i gorgoglii dell’addome. Tutto questo entra a far parte del singolo osservatore (nell’installazione può entrare una sola persona per volta), rendendolo a sua volta componente della prigione. Ecco che le solitudini diventano tre. E ancora, Camera #3 illustra il processo dell’abitudine del coesistere, un processo che si sarebbe meglio intuito se avessimo preso parte alle due opere precedenti, che non ci è dato descrivere con l’adeguata precisione. Riassumeremo così: in Camera #1 le presenze si mescolano caoticamente, senza pace. In Camera #2 si avverte quella demarcazione, quella netta separazione che fa da preludio alla fusione armonica. Si ha qui una sorta di autoriconoscimento. La conclusione offre quella che forse è una rassegnazione, forse una pace raggiunta, oppure entrambe. Ma due solitudini fanno una relazione? O scavano, come doppi buchi, un abisso ancor più ineluttabile? (...) " (4 luglio 2015, recensione di Sharon Tofanelli per teatro.persinsala.it)
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