Gli alberi del giardino e il tree-climbing
La cura degli alberi è affidata a Paolo Carrara, tree-climber esperto, che insieme ad Andrea Michelucci, Deniel Balestra e in continuo dialogo con l’ideatrice del Progetto Dello Scompiglio Cecilia Bertoni, segue lo sviluppo dell’area paesaggistica. Un lavoro che prende le mosse dalla parte bassa della Tenuta, per espandersi alle zone a vocazione agricola e proseguire nella parte alta, fino alla corona del bosco, creando un unico grande giardino.
Le attività sono in relazione anche con la vita della Associazione Culturale, nei momenti in cui gli artisti interagiscono e si confrontano con gli spazi esterni della Tenuta, creando le proprie opere e in occasione di visite guidate, percorsi tematici e appuntamenti aperti al pubblico.
“Nella scelta delle piante destinate a popolare la Tenuta – spiega Cecilia Bertoni - confluiscono punti di vista diversi. Lo sguardo di Paolo, che per il suo lavoro è abituato a confrontarsi con le altezze, propone una prospettiva particolare, in dialogo con lo spirito di osservazione di Andrea. D’altra parte, il mio sguardo è orientato di più all’elemento coreografico ed estetico. Dall’incontro tra le nostre visioni, non sempre coincidenti e per questo ancora più interessanti, si cerca di capire quale fisionomia dare allo Scompiglio, attraverso un punto di vista più ampio.”
Il tree-climbing, utilizzato nella gestione degli alberi, permette un approccio non invasivo, più attento alle piante e in generale più rispettoso dell’ambiente. Questa tecnica operativa – che prevede solo l’uso di corde, carrucole, frizioni di calata, ecc. – consente di eseguire tutte le operazioni di potatura, manutenzione ed eventualmente abbattimento controllato, senza ricorrere a piattaforme aeree sollevate da mezzi meccanici. Ciò evita una compressione eccessiva del suolo, dannosa per i prati e le radici degli alberi e rende possibile una manutenzione più accurata all'interno delle chiome. Per la sua natura, è applicabile inoltre anche in spazi angusti che altrimenti sarebbero preclusi ai mezzi meccanici.
“Faccio attività su corda dal 1985 – spiega Paolo Carrara –. Nel mio percorso universitario in scienze forestali ho avuto modo di studiare le piante e di appassionarmi al loro mondo. Da lì all’idea di lavorare sugli alberi con le corde il passo è stato breve”.
“Ho avuto esperienza di arrampicata e lavoro in corda intorno ai vent’anni - aggiunge Michelucci - e successivamente mi sono occupato di manutenzione del verde e potature secondo metodologie convenzionali. La tecnica del tree-climbing l’ho conosciuta qui e ho potuto apprezzare fin da subito sia il notevole impegno e le conoscenze che essa richiede, sia il grande senso di armonia che può permettere di raggiungere”.
Con questo metodo è possibile una potatura orientata a prevedere e accelerare i processi che avvengono spontaneamente nella pianta, rispettando il suo equilibrio. Il risultato del lavoro difficilmente viene notato da un occhio non esperto, perché in profonda armonia con l’assetto naturale della pianta stessa.
“Si tratta di osservare l’evoluzione dell’albero – spiega Carrara – e di anticiparla. Per fare degli esempi molto concreti, un ramo che non prende luce col tempo andrà a seccare e cadrà. Quindi è necessario individuare subito quali sono questi rami e tagliarli prima che cadano da soli. Allo stesso modo, se c’è un ramo troppo proiettato in esterno, sappiamo già che in caso di vento sarà portato via, perciò andremo a fare un taglio per dare una forma più compatta alla chioma ed evitare che ciò accada.”
Un lavoro che presuppone una attenta osservazione degli alberi, dato che ciascuno ha trovato con il tempo un proprio particolare modo di bilanciarsi e di orientarsi nello spazio.
Gli alberi del giardino e il tree-climbing“Per diversi anni la Tenuta ha versato in uno stato di abbandono – spiega Cecilia Bertoni – e questo ha fatto sì che per molto tempo varie specie come i pioppi, i ciliegi selvatici e tante altre abbiano trovato un proprio modo di bilanciarsi e di crescere, anche in mezzo alle infestanti, che non sempre corrisponde a una logica di simmetria e di proporzioni che si avrebbero in una situazione di maggiore libertà. Ciò ha portato le piante ad assumere forme anche molto insolite, ma funzionali al contesto in cui stavano vivendo. Una volta che un’area viene progressivamente liberata dalla vegetazione indesiderata è necessario intervenire sugli alberi per dare loro una forma adeguata alla nuova relazione con lo spazio circostante. Non sempre è possibile farlo e talvolta le piante non riescono ad adattarsi alla mutata situazione. Per raggiungere un nuovo equilibrio è necessaria una lettura molto dettagliata e molto sensibile del contesto, perché bisogna capire cosa sta cercando di fare l’albero e dargli la possibilità di continuare a farlo.”
Su questo ordito si sviluppa il tessuto arboreo che popola e progressivamente trasforma, come in una coreografia in lentissimo movimento, il volto della Tenuta. Allo stesso tempo, alle persone viene data la possibilità di crescere all’interno del proprio lavoro e nella propria visione personale, sviluppando metodologie di intervento e punti di vista nuovi.
“Nel tempo – spiega Paolo Carrara - l’approccio alle piante per me è cambiato tantissimo. Prima ero più schematico, probabilmente. All'inizio il mio lavoro si limitava a quello che in un primo momento costituiva il nucleo del Parco, con le sue piante enormi e secolari, soggette a vincolo paesaggistico. Il recupero di questa area mi ha abituato a lavorare con una attenzione ‘chirurgica’, prevedendo, nell'esecuzione incerta di un'operazione, sempre la situazione più sfavorevole e mantenendo così un buon margine di sicurezza. In questa area le piante sono a vocazione estetica, perciò si è lavorato con una attenzione estrema a non causare danni e a non lasciarsi ingannare dalle altezze notevoli, alle quali in genere si opera su piante di queste dimensioni. C’è stata poi la messa in sicurezza di piante monumentali, che da decenni non avevano più subito alcun intervento. Si è trattato di diradare e alleggerire, anche se la potatura migliore è quella che nota solo un occhio attento e non certo quella che, purtroppo, si vede talvolta lungo certi viali cittadini!
In un secondo momento, l'attività si è spostata sulla Collina dell'Uccelliera, per liberarla dalle infestanti. Abbiamo incontrato piante, spesso nate e cresciute sotto i rovi o i pini, che sono però riuscite a sopravvivere e che sono state selezionate dopo una valutazione attenta e condivisa sull'estetica, la funzionalità e soprattutto i rapporti e le interazioni future tra le piante stesse. La cura degli alberi si è estesa nel tempo anche alle aree boschive.
Questo lavoro ha permesso di costruire una nutrita casistica di situazioni nelle quali operare, che anche oggi si rivela utilissima. Se si presenta un caso complesso, infatti, adesso non ho alcuna esitazione o incertezza sulle modalità tecniche di un intervento, per quanto complicato possa essere.
Col passare del tempo, l’esperienza e il confronto con persone diverse mi hanno fornito un nuovo approccio alle cose, non necessariamente orientato all’agire. Da un punto di vista più ampio, il suolo è il posto dove abitano le piante, noi diamo per scontato che tutti i suoli siano uguali, ma in realtà non è così. Suoli agrari simili, ma lavorati in modi diversi, danno esiti distanti tra loro. Ci sono poi situazioni in cui capisci che la cosa migliore sarebbe non intervenire, o quanto meno aspettare, vedere come si evolvono le cose. Si tratta di osservare e per farlo ci vogliono tempo e calma. È una azione da fare a più riprese, per poi arrivare alle conclusioni in modo ragionato. A volte si tratta solo di cambiare qualcosa che magari a noi sembra sia poco, ma che per la pianta può significare un cambiamento profondo”.
Nelle aree boschive, le piante seguono orientamenti di crescita liberi, in sintonia con la natura stessa della foresta. Può succedere poi che ci siano alberi che, osservando un criterio più spiccatamente paesaggistico ed estetico, popolino aree a vocazione agricola, come le vigne. In quel caso la loro presenza si inserisce nel contesto generale tramite potature studiate per permettere alla pianta una convivenza in armonia con le lavorazioni.
Anche le potature di produzione seguono un principio di rispetto dell’equilibrio della vegetazione. Un esempio su tutti, gli olivi potati secondo il metodo del vaso policonico, una forma di allevamento introdotta in Italia dal professor Alfredo Roventini (1889-1950), che rispetta la pianta e il suo equilibrio fisiologico e produttivo.
“Quando sono arrivato allo Scompiglio – racconta Michelucci – molte delle piantine di olivo presenti avevano solo pochi anni. Questo ci ha dato modo di sperimentare tipi di potatura e visioni diverse. L’ultima, secondo il metodo Roventini, che permette il totale rispetto della pianta e del flusso della linfa, è stata una scoperta entusiasmante.
Più in generale, dedicarmi a zone diverse all’interno Dello Scompiglio mi ha portato a una evoluzione personale. Inizialmente ad esempio la parte alta, vale a dire tutto il fronte popolato dai pini, lo vedevo come un bosco, una zona a sé. Poi negli anni le attività di pulizia, la periodica messa a dimora di nuove piantine, la connessione continua con il lavoro degli altri collaboratori del Progetto, la consapevolezza che anche quell’area sarà sempre di più parte di un unico grande giardino hanno reso possibile una certa qualità di relazione che si è estesa anche ad altre zone, come gli oliveti stessi, la collina dell’Uccelliera o altre aree che vengono via via recuperate. Con la conoscenza del luogo si è instaurato un rapporto di cura continuo, per cui si selezionano le piante che hanno già un loro sviluppo, si contrastano le infestanti e in generale si cerca di dare ai giovani alberi la possibilità di svilupparsi. Insomma, una relazione quotidiana che apre continui spazi di crescita”.
In futuro, il volto della Tenuta avrà la fisionomia dei processi che sono stati avviati in questi anni con le piantumazioni e la definizione della vocazione delle varie zone.
“In alcune aree – precisa Carrara - gli alberi piantati cresceranno, in altre dove il suolo è più sottile avremo probabilmente una popolazione di cespugli. In parte si tratta di un processo già avviato e che porterà progressivamente ad avere coperture diversificate, che potranno dare riparo e nutrimento ad animali diversi e che renderanno sempre più vario e interessante il paesaggio. È la parte del mio lavoro che più apprezzo: impostare un lavoro di ampio respiro, che farà vedere i propri frutti nel corso del tempo. Poter immaginare il vantaggio che, in un certo ambiente, determinate piante potranno avere e andare a verificare, per quanto possibile, i risultati di questa impostazione, di questa visione”.
Il lavoro avviato in questi anni porterà sempre di più a un unico giardino dove coesistono ambienti diversi, secondo un principio di armonia e di bellezza. Un luogo dover poter perdersi. E ritrovarsi.
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