9 novembre 2024, ore 19.30
Frankenstein
performance di Office for a Human Theatre
regia, scena e scrittura Filippo Andreatta
tratto da Mary W. Shelley, Clarice Lispector
suono e musica Davide Tomat
performer Silvia Costa, Maria Isidora Vincentelli
assistente regia Veronica Franchi
responsabile allestimento Cosimo Ferrigolo
luci Andrea Sanson
tecnico luci Marco Filippone
costumi Lucia Gallone
sculture di scena e automazioni Plastikart Studio
busto di cera e maschere Nadia Simeonkova
fondale dipinto Paolino Libralato
tecnico Orlando Cainelli
stage tecnico Rebecca Quintavalle
fotografie Giacomo Bianco
teaser Anouk Chambaz
sviluppo e comunicazione Anna Benazzoli
creative producer Chiara Boitani
amministrazione Lucrezia Stenico
sviluppo internazionale Job Rietvelt
produzione OHT - Office for a Human Theatre
co-produzione TPE Teatro Piemonte Europa, Snaporazverein (CH)
residenza artistica Centrale Fies
con il contributo di MiC, Provincia Autonoma di Trento, Fondazione Caritro di Trento e Rovereto
2024_Frankestein
“Contrariamente a quello che l’opinione scientifica corrente possa dire, l’immaginazione è una delle componenti principali della razionalità scientifica” rosi braidotti
Per la prima volta OHT si confronta con un classico della letteratura occidentale; Frankenstein o il moderno Prometeo. Scritto da un’autrice ancora adolescente con l’intento di incutere paura, il capolavoro di Mary Shelley anticipa l’ansia climatica contemporanea dando origine a un nuovo genere letterario; l’horror fantascientifico. Pubblicato subito dopo l’eruzione vulcanica più potente mai registrata dall’uomo, Frankenstein non è solo un’icona letteraria ma, innanzitutto, una reazione all’anomalia climatica provocata dal vulcano Tambora in Indonesia. Secondo i climatologi l’eruzione provocò l’Anno-Senza-Estate; un periodo distopico a causa della nebbia sulfurea che offuscò la stratosfera e cangiò il cielo in giallastro, abbassò le temperature, provocò violenti e continui temporali con notevoli danni all’agricoltura e conseguenti carestie in Europa, Nord America e Asia. Era il 1816 e in quell’atmosfera Mary Shelley scrisse Frankenstein.
Sorprendentemente vicino alle sfumature politiche della ricerca di OHT, Frankenstein è un mito in cui i paesaggi esteriori si confondono con quelli interiori. Gli strapiombi del monte Bianco diventano vertigini intime e personali nell’incontro fra il mostro e il suo creatore; luoghi inaccessibili come le Alpi e l’Artide si fanno rifugio determinante per una creatura inafferrabile, che in essi impara a conoscersi attraverso i fenomeni naturali che vi si manifestano. Il demone e quei paesaggi diventano un tutt’uno mentre Victor Frankenstein non sembra più in controllo di ciò che lo circonda. La radicalità del lavoro di Shelley si materializza nell’emancipazione della creatura. Inaspettatamente, Frankenstein si rivela come un veemente e contemporaneo romanzo di formazione.
Incastrato dai limiti della tassonomia culturale, l’essere-più-che-umano per eccellenza della letteratura occidentale non ha avuto una lettura distaccata dal contesto in cui veniva interpretato. Un limite che, paradossalmente, ha imprigionato il libro nel suo immaginario, fra i lacci di una interpretazione imbrigliata dalla visione di lettori cosiddetti “normali / naturali”. L’interpretazione di Frankenstein [che è in realtà il creatore e non la creatura come si tende a credere] ha sempre prevalso su quella del mostro anche se il cuore, emotivo-neurologico-e-letterario del libro, sta nell’apprendimento da parte della creatura di se stesso, del linguaggio e del mondo. È da questo scarto, da questa esclusione, che nasce il lavoro di OHT; per la prima volta è il mostro a parlare, e prende la parola non come escluso ma come artefice del nostro immaginario, come un nostro concittadino, come un nostro pari mostruoso. Finalmente, il mostro rinasce rivelandosi come un neonato della letteratura occidentale; un infante a cui appaiono i primi colori, le forme acquisiscono volume, le mani iniziano ad afferrare, la gola e le labbra -fino a quel momento capaci soltanto di grida gutturali- articolano le prime parole. Una rinascita mostruosa che evade i confini letterari creando un nuovo immaginario:
"E ora, ancora una volta, ordino alla mia orribile progenie di andare avanti e prosperare" Mary Shelley
La nuova produzione di OHT si muove dall’esperimento del dottor Frankenstein e, scartando la narrazione, opera affondi parziali e verticali nel testo, senza limiti di forma, linguaggio e durata. L’opera di Shelley diventa materiale da esaminare, sezionare, ricucire, corpo disponibile per esperimenti scenici diversi: uno spettacolo teatrale, una reading session, un’installazione, un radiodramma verranno generati come parti di una stessa sperimentazione che avanza orizzontalmente nel romanzo per indagarne le molteplici ramificazioni.
I frammenti così prodotti mutuano l’oscenità del demone e diventano un accorpamento deforme di materiale grezzo abbandonato precocemente; esperimenti scenici che, mostrandosi nella loro inadeguatezza, innescano lo stesso corto-circuito all’origine della creatura di Frankenstein invitandoci a fare i conti con quello che siamo soliti omettere alla vista e consideriamo mostruoso.